Lunedì 22 settembre è proseguito il processo politico contro Maja. Già alle 7 del mattino i sostenitori si sono radunati davanti al tribunale. Nel frattempo, i fascisti hanno chiamato una manifestazione che a loro dire contava 500 persone, effettivamente se ne sono presentate solo 10.
La magistratura ungherese sta cercando di intimidire gli antifascisti, ma le grida fuori dall’aula del tribunale ci ricordano che Maja non è sol*.
Nella sala stessa sedevano dipendenti dell’ambasciata tedesca e un membro del parlamento del Partito della Sinistra a cui è stato permesso di far visita a Maja. Mentre Maja viene portat* dentro, le grida di “Free Maja” echeggiano all’esterno. Maja sorride, cerca volti familiari e rimane forte, nonostante sia in isolamento da mesi.
Condizioni detentive
Il giudice lo chiarisce subito: Il procedimento non verrà sospeso. Rimane l’isolamento. Il giudice chiarisce subito: il procedimento non sarà sospeso. L’isolamento continua. Tutti i precedenti penali vengono richiamati per continuare a criminalizzare Maja.
Quello che accade qui non è giustizia neutrale, ma repressione politica.
Testimone
Viene chiamato un testimone. Non riconosce Maja, contraddicendo così direttamente la versione del pubblico ministero. Descrive invece ciò che ha visto: un uomo a terra, chiaramente riconoscibile con una toppa delle SS, un bomber e degli anfibi. Secondo la sua stessa dichiarazione, gli è stato subito chiaro: si tratta di un neonazista. Il testimone stesso è ebreo e afferma chiaramente: “Certo che detesto questi simboli”. Riconosce i fascisti e per questo viene messo sotto pressione dal pubblico ministero, che mette in dubbio la sua testimonianza. Nonostante diverse domande critiche, il testimone resta fermo: ha visto cinque persone incappucciate. Nell’aria c’era odore di spray al peperoncino. Il nazista è caduto a terra ed è stato preso a calci. Ha chiamato il servizio di emergenza.
La difesa torna a fare domande. Il testimone conferma: non ha visto alcun attacco contro una donna. Sarebbe intervenuto, se fosse successo. Ma la toppa delle SS, dice, l’avrebbe riconosciuta già da cinque metri di distanza. Questa chiarezza viene messa in discussione dalla procura. Si ha l’impressione che qui non si tratti di giustizia, ma di una narrazione già decisa in anticipo. Maja deve essere condannat* a tutti i costi.
Le prove
Poi ci sono ore di presentazioni video. Immagini pixelate, telecamere tremolanti, ombre sfocate. Le persone camminano per Budapest: presumibilmente sono il “gruppo”. Ma tutto rimane vago, costruito, indimostrabile. Mentre il giudice descrive immagini fisse di scarpe e giacche, le voci echeggiano dall’esterno: “Maja, tieni duro!” All’interno, la magistratura sta cercando di creare “prove” dai pixel.
Solidarietà contro la repressione.
Maja rimane forte e silenzios*, sorride e sente gli slogan provenienti da fuori: “Ci sono nazisti in ogni città: formate delle bande e spazzateli via!” Questa contraddizione tra interno ed esterno percorre l’intera giornata: uno stato repressivo contro un movimento unito.
I video mostrano percorsi, mappe e spostamenti attraverso la città. Vengono menzionati nomi, inventate presunte affiliazioni. E le autorità tedesche forniscono informazioni alla magistratura ungherese. Invece di proteggere gli antifascisti, la Germania è attivamente complice del processo di repressione.
La criminalizzazione dell’antifascismo
In Ungheria, i fascisti hanno il sostegno dello Stato. Gli antifascisti finiscono in isolamento e i loro processi si trascinano per mesi. Non si tratta di un episodio isolato; è sistematico. Quello a cui stiamo assistendo è uno Stato autoritario che criminalizza la resistenza antifascista.
Nel frattempo, il Parlamento europeo si prepara a un dibattito su Ilaria. E cosa sta facendo il governo ungherese? In risposta, un politico si limita a condividere le coordinate del carcere di Budapest sui social media. Non è una coincidenza: è intimidazione.
Questo processo non è solo una questione ungherese. Dimostra come gli antifascisti siano minacciati in tutta Europa e come le agenzie governative preferiscano agire contro gli antifascisti piuttosto che contro i fascisti.
Ma una cosa è altrettanto chiara a Budapest: la nostra solidarietà non conosce limiti.
“Liberate Maja” è più di un appello alla giustizia. È un promemoria che ci difendiamo a vicenda. Che non ci lasceremo dividere. E che la resistenza antifascista è legittima. A Budapest, ad Amburgo e ovunque.
Sostenete Maja durante i prossimi giorni del processo a Budapest, continuate a fare pressione affinché Maja venga portat* in Germania e difendete anche gli altri detenuti: Clara ad Amburgo, Zaid, che è ancora minacciato di estradizione in Ungheria, e tutti gli altri che vengono criminalizzati per antifascismo.
Prossimi appuntamenti processuali:
- 26.09
- 29.09
- 02.10
- 08.10
Lo Stato vuole dare un esempio – ma noi non lo permetteremo. Il processo fa parte di un attacco su scala europea contro l’antifascismo. Per questo: partecipate alle manifestazioni, informate chi vi sta intorno e l’opinione pubblica, diventate attivi!
Maja non è sol*.
FREE MAJA!