Resoconto dell’udienza di Maja, 08.10.2025


Traduciamo questo articolo diffuso sui canali tedeschi:

Resoconto dell’ultimo giorno del processo prima dell’aggiornamento a gennaio. Questo significa altri quattro mesi di isolamento per Maja, e per noi quattro mesi per lottare per Maja e richiamare l’attenzione sulla situazione. Non dobbiamo arrenderci, non dobbiamo mollare, ma rimanere forti, come Maja.

Segnatevi anche le date sul calendario: il processo durerà quattro giorni, dal 14 gennaio, e il verdetto sarà annunciato il 22 gennaio 2026.

Se possibile, recatevi a Budapest per sostenere Maja, la sua famiglia e i suoi amici e per dimostrare a Orbán che non ci lasceremo intimidire.

Aspettatevi anche mobilitazioni in Germania dopo il verdetto.

Il giorno del processo

Fin dalle prime ore del mattino, la gente si è radunata di nuovo davanti al carcere in segno di solidarietà. All’arrivo, è già chiaro che l’atmosfera è tesa: i fascisti hanno imbrattato il luogo del raduno con acido butirrico e feci. L’aspetto positivo della situazione: al presidio solidale è consentito di sostare direttamente sotto la finestra dell’aula di tribunale.

Una cinquantina di neonazisti sono fermi davanti al tribunale. Nonostante i tentativi di intimidazione, il sostegno a Maja rimane intatto. Oggi c’è più stampa rispetto ai giorni scorsi. Giornalisti da Italia, Germania e Ungheria. Anche Martin Schirdewan, membro del Parlamento europeo del Partito della Sinistra, è di nuovo presente. L’aula è di nuovo piccola e i posti si riempiono rapidamente. Alcune richieste di osservatori solidali sono state respinte mentre i fascisti ci stanno col fiato sul collo.

Mentre Maja viene portat* in aula alle 8:53, un uomo cerca di filmarl* con il suo cellulare. Il personale del tribunale le fa scudo, e la persona viene accompagnata fuori. Da fuori, attraverso le finestre, risuonano grida: “Liberate Maja!” e “Amore e forza a te in prigione!” Dentro, Maja chiede di poter parlare e che le venga finalmente concesso di riprendere le visite famigliari in carcere.

La seduta odierna dovrebbe riguardare il confronto tra due testimoni: Tamas, considerato un testimone indipendente, e Dudog, che, insieme alla moglie, è una delle presunte vittime.

Informazioni di base su Dudog

László Dudog è una figura importante nella scena rock ungherese di destra. È un membro attivo della band ungherese Blood & Honor “Divine Hate” ed è co-fondatore della band “Divizio Hungária”. Dudog si è esibito coi “Divine Hate” l’11 febbraio 2022 al concerto “Blood and Honor” come parte del Giorno dell’Onore. L’etichetta della sua band, Nordic Sun Records Budapest, è partner di Blood&Honour Ungheria. Ha un tatuaggio del Klu Klux Klan sul braccio e un 88 sul petto, incorniciato da una corona d’onore. In un’intervista ad “Il Giornale” racconta di partecipare da tempo alle manifestazioni della Giornata dell’Onore per dimostrare il suo rispetto verso i caduti, che considera eroi.

Il confronto

Entrambi i testimoni sono posizionati nella parte anteriore con i microfoni.

Tamas aveva già testimoniato di aver visto simboli delle SS sulla giacca di Dudog. Dudog ora porta una giacca nera – senza mostrine – e sostiene che sia la stessa che indossava allora. Sua moglie lo sostiene, spiegando che la polizia ha esaminato gli abiti dopo il crimine e li ha conservati perché erano insanguinati. Quando viene mostrato il vecchio filmato, un teschio è chiaramente visibile sugli abiti di Dudog. Descrive il simbolo come “apolitico”. Tamas non è d’accordo: per lui è chiaro che si tratta di un simbolo delle SS.

Tamas e la coppia ripercorrono gli eventi della serata. Tamas rimane fedele alla sua versione: ha visto solo l’uomo aggredito, non la donna. Lei, tuttavia, sostiene di essere stata colpita da più direzioni e di essere svenuta. Tamas spiega con calma di non aver visto nessuno a terra. Ha chiamato i soccorsi e ha prestato immediatamente soccorso, pur sapendo che l’uomo era un estremista di destra.

La donna si attiene alla sua dichiarazione e la ripete più volte. Alza le mani, parla di shock e dolore, di una ferita da arma da taglio alla coscia. Il giudice la interrompe infine e le ricorda che solo lui valuterà la credibilità delle dichiarazioni. Il referto dell’ospedale, tuttavia, non ha riscontrato lesioni.

Il confronto può essere considerato parzialmente valido, poiché la corte riconosce che il berretto di Dudog recava effettivamente un simbolo di estrema destra quel giorno. Dudog e sua moglie dopo aver terminato lasciano l’aula.

Nuova documentazione

Successivamente vengono letti nuovi documenti, questa volta provenienti dalle autorità tedesche. Mostrano presunti collegamenti tra i vari imputati: mappe, screenshot, immagini sfocate, estratti di videosorveglianza sul tram. Nelle immagini non si riconosce quasi nulla, eppure da esse si ricavano nomi, luoghi e presunte connessioni. I volti pixelati compaiono ripetutamente. Una giacca rossa, un cappello, ombre nell’immagine. Il tribunale descrive dettagliatamente cosa dovrebbe essere mostrato nelle foto, anche se nessuno può dire con certezza chi vi sia effettivamente raffigurato.

Maja viene menzionat* per nome più volte nei resoconti, a volte con il suo deadname[1]. È difficile sopportare che, dopo quasi due anni di prigione, descrizioni così discriminatorie, irrispettose e inaccurate siano ancora parte integrante del procedimento.

Dopo ore di analisi delle immagini, l’avvocato di Maja ha la sua opinione.

Chiede nuovamente che la custodia cautelare di Maja venga revocata con la condizionale o su cauzione e che le vengano concessi gli arresti domiciliari. Maja ha sempre rispettato tutte le regole. La richiesta viene presentata con una lettera dettagliata e documenti aggiuntivi. La Procura respinge la richiesta, sostenendo che Maja potrebbe fuggire, che non riconosce l’ordinamento giuridico ungherese e che fa “parte di un movimento antifascista”. La procura descrive addirittura le manifestazioni di solidarietà in strada come prova di “collegamenti con la scena”.

L’avvocato di Maja è fortemente in disaccordo. Afferma che le accuse del pubblico ministero sono infondate. Maja sta lottando in condizioni difficilissime, è in isolamento da 18 mesi e non ha fatto nulla che possa indicare un’intenzione di fuga.

Il tribunale è tuttavia contro Maja: la custodia cautelare in carcere viene estesa fino a 21 mesi. La motivazione addotta è ancora una volta il “rischio di fuga” e il presunto reato grave. La solidarietà è criminalizzata e l’orientamento politico è considerato un pericolo.

Fuori, qualcuno suona la tromba. Da lontano, si sente di nuovo: “Liberate Maja!”

All’interno, la sessione termina alle 14:44.

Un’altra giornata piena di contraddizioni e arbitrarietà. Il processo dovrebbe proseguire a gennaio.

Fino ad allora, Maja rimarrà in isolamento. La richiesta rimane chiara: FREE MAJA!


[1] “Deadname” si riferisce al nome di battesimo di una persona queer che non riconosce più come proprio. Il termine “deadnaming” indica l’atto di utilizzare deliberatamente o per errore questo vecchio nome, che può essere vissuto come un atto di disconoscimento della nuova identità di genere e causare un notevole disagio psicologico.