Lettera di Maja


Qui trovate la traduzione dell’ultima lettera scritta da Maja in occasione della manifestazione che si è tenuta a Jena il 28 febbraio.

Oltre alla denuncia terribili condizioni detentive, alla brutalità delle polizia e all’avanzata delle destre in tutta europa è va sottolineato come più volte nella lettera faccia riferimento all’importanza della solidarietà dal basso e alla vicinanza di tutte le persone che si organizzano per lottare per “una società queer, inclusiva, antifascista, femminista, critica, antirazzista, aperta e solidale.”

Voglio essere sincer* con voi, oscillo tra lo sconforto e l’allegria sfrenata, tra la tristezza e la rabbia, incatenata a paure, dubbi e desideri. Mi faccio forza, tocco il fondo, sono euforica e poi nuovamente vicino alla disperazione, pensieri presuntuosi seguono una rassegnazione meschina.
Questa accettazione, unita all’impotenza, mi ha corroso sempre di più negli ultimi mesi, prima con la prigione in Germania, la discriminazione strutturale intorno a me, la costante repressione, le storie di vita che vengono spietatamente annientate perché sono pochi i detenuti che hanno una rete sociale abbastanza forte da assorbire la dura realtà carceraria. Questo rende ancora più importante intendere il carcere come un luogo di aggregazione, ma anche questo mi è stato negato.
Poi è arrivato il volo notturno in elicottero e il primo giorno nell’ignoto. All’inizio ero scioccata, inorridita dalla brutalità e dalla desolazione che regnavano qui, ma ora lo sono raramente, non ne ho la forza. L’isolamento, quasi 24 ore da sol*, una telecamera che riprende ogni mio movimento. Essere incatenat* e perquisit* dalla testa ai piedi quotidianamente, funzionari che si limitano ad amministrarci, la mancanza di contatto con le persone, la lista è lunga…
È un veleno che si diffonde lentamente nel corpo, paralizzandolo, dicendoci che non c’è alternativa all’accettazione di questa procedura disumanizzante di repressione e prigionia. Semina il dubbio, un dubbio che è quasi cresciuto in me a tal punto che non volevo iniziare a scrivere queste righe.
Mi sono convint* che non avesse senso, che non avessi la forza di dire la cosa giusta per ottenere qualcosa di cui spesso non ho un’idea concreta. La speranza porta fiducia? O semplicemente compassione e solidarietà? Non voglio fare prediche, non voglio implorare e soprattutto non voglio crogiolarmi nella sofferenza. Vorrei comunque dire qualcosa, dato che questo non è il momento giusto per tacere. Sì, vorrei dire un sincero “grazie”, trovare le parole come fate voi, per riuscire a farmi andare avanti.
Aggiungo che resterò critic* e vigile, solidale e sempre con il cuore pieno di speranza, nonostante l’oscurità.
Non c’è bisogno che ve lo dica io, sono passate solo tre settimane dalle elezioni regionali, tre settimane da Solingen [attentato del 23 agosto rivendicato dall’ISIS con 3 morti e 8 feriti a cui è seguita una grave stretta nelle politiche migratorie in Germania. NdT], settimane di dolore, di rabbia e di impotenza ricorrente, perché tutti abbiamo vissuto questa merda abbastanza a lungo, tutti abbiamo dovuto sperimentare come l’indicibile diventi dicibile, come alle parole seguano i fatti, violenti ed emarginanti, come una politica stenda il tappeto rosso ai suoi nemici per paura di una società libera.
Il veleno strisciante, l’accettazione.

Probabilmente è questo che mi spinge a scrivere questo discorso, l’orgoglio, l’ammirazione per quelle persone che lottano e rendono visibile ogni giorno una società queer, inclusiva, antifascista, femminista, critica, antirazzista, aperta e solidale.  Questo siete voi, voi che state qui, voi che agite, su grande e piccola scala. Quando il cielo si fa buio, guardatevi l’un l’altro, come potrebbero le persone non trovare sostegno qui? Vorrei incoraggiarvi a dire e a mostrare quanta forza alberga in voi e quanto riusciate a realizzare ogni giorno, in grande o in piccolo.
Nonostante il veleno presente nella società, dalla repressione autoritaria al populismo folle, unitevi, saldi, e fate molto di più che gridare frasi vuote nel mondo. La vostra solidarietà sarà riconosciuta, siatene certi, incoraggiatevi per continuare a lottare, potete fare la differenza.
Sì, non è stato possibile impedire la mia estradizione, anche se le autorità sono ben consapevoli di quanto siano disumane le condizioni qui, di quanto l’Ungheria sia lontana dall’essere un paese con stato di diritto e di quanto poco valgano qui le direttive dell’UE. È stato un calcolo cieco, cieco solo per le vittime che comporta, hanno voluto spezzare e portare allo stremo le persone, i processi costituzionali sono stati a lungo una spina nel fianco della polizia regionale e dei suoi procuratori.
Il fatto che molte persone si rifiutino di accettarlo mi dà speranza ed è questo che serve, oltre alla fiducia e al coraggio. Spetta a tutti noi garantire che una simile estradizione non si ripeta, c’è bisogno di tutti i nostri occhi vigili affinché ciò che troppo spesso diamo per scontato non si spazzato via.
È deprimente preservare solo ciò per cui si è faticosamente lottato, per difendere quello che una volta era un consenso democratico contro politiche reazionarie. Quando sento come le persone voltano le spalle alla Turingia e vanno avanti per la loro strada, mi scoraggio e mi chiedo: “Perchè proprio ora!?”
Non posso prendermela, soprattutto con chi è esposto quotidianamente all’odio e a campagne diffamatorie o con chi non ha un sostegno concreto. Ciò che gli ultimi mesi in carcere mi hanno mostrato è che è anche possibile, persino necessario, sopravvivere nel posto sbagliato per prendere coscienza del bisogno interiore di cambiamento e giustizia. C’è davvero una linea sottile tra l’essere buoni a parole e l’accettare con sconforto. La via di mezzo mi è sembrata spesso piena di nebbia, impraticabile, ma osare percorrerla comunque è ciò che costituisce la forza.

E questo mi riporta al motivo per cui ho deciso di scrivere queste righe. Può sembrare patetico, ma per me è sempre stata una fonte di forza fare questi passi difficili senza la paura di rimanere sol@. Mi ha sempre ricordato di non intraprendere mai un cammino senza empatia, senza amore, il cui terreno è grondante di disprezzo. Siete stati voi a togliermi la paura negli ultimi mesi e a esortarmi silenziosamente di non accettare, per quanto disperati possano sembrare, alcuni giorni. Non smettiamo di dissentire da coloro che ci combattono così aspramente, che cercano di smascherarci, denigrarci e rapirci di notte. Sanno di sbagliare, da qui la loro durezza, che altro non è che sintomo di paura. Mostriamo invece la nostra forza con l’amicizia, la solidarietà e l’allegria, sempre con la porta aperta a chi osa mettersi in discussione criticamente.

Rimango con un pensiero di solidarietà, Maja